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  • Immagine del redattoreAndrea Dallapina

Giornosofia 9 - R come Riso

Dopo il tatto e la vista, la Giornosofia giunge all’udito.

Come la vista, l’udito percepisce anche nell’assenza. Nel Genesi Dio si rivolge ad Adamo dicendo “Dove sei?”, Adamo probabilmente non vede Dio, ma sente la sua voce che lo chiama. Il suono delocalizza la presenza, poiché non sempre percepiamo chiaramente la fonte del suono.


Il tatto può avvenire in presenza, la vista a distanza, ma devo avere la visuale libera tra me e l’oggetto dell’osservazione. L’udito invece può percepire in assenza anche di visuale: anche se sei nascosto, come Adamo dopo aver mangiato il frutto proibito, la voce (non solo quella divina) ti può raggiungere.


L’essere umano non è però solo udente ma è anche parlante. E se come ricordavamo in S come Specchio, io posso vedere il mondo, ma vedere me stesso solo a determinate condizioni riflettenti, posso invece sempre sentire la mia voce (a meno di essere sordo o muto, anche solo temporaneamente).

Forse non sento la mia voce come gli altri, magari non mi piace se la riascolto, questo perché prima di tutto sento con la gola. Quando parlo so che emetterò dei suoni e questi prima di essere nell'etere, prima di essere percepiti, risuonano nelle corde vocali. Perciò sono preparato, so cosa voglio dire, anche se poi può avvenire il lapsus, e a volte me ne accorgo udendomi e a volte no. A volte mi correggo, a volte no.


Il linguaggio, inizialmente la voce, vorrebbe aiutarci a spiegare meglio quello che cerchiamo di comunicare con gesti, tocchi, sguardi. A volte è invece l’origine delle incomprensioni, soprattutto quando diventa scritto e decontestualizzato (e allora ecco comparire le emoji).


Insomma, noi parliamo, comunichiamo da centinaia di migliaia di anni con la voce, quale strumento principe nelle relazioni personali. Rappresentiamo con suoni, con qualcosa di invisibile, oggetti, azioni, sentimenti. Poi i Greci decisero che questo invisibile poteva essere scritto dall’alfabeto. Ma questa è un aspetto di cui ci occuperemo in un’altra occasione.


Oggi siamo alla R come Riso. Riso come la facoltà di ridere. Assieme al linguaggio, cioè all'essere parlante che dà significato, sarebbe una facoltà appannaggio solo della specie umana. Alcuni studi spiegano che anche i piccoli di scimpanzé, di bonobo e di altre scimmie ridono, nel senso che se facciamo loro solletico hanno movenze facciali e suoni simili a quelle di un neonato.


Ma quando parliamo del riso è di quello che parliamo, solo di una mimica facciale?

Bergson è stato uno dei pochi filosofi a occuparsene, e rilevava nell’origine del riso e del comico una sorta di censura sociale potremmo dire. Ci fa ridere uno che scivola sulla buccia di banana perché così segnaliamo che occorre stare attenti a dove si mettono i piedi. Ma a dire il vero non c’è solo il riso, c’è il sorriso, il ghigno, l’umorismo, la satira, l’ironia. E in fondo il riso appare avere tutte le caratteristiche di un evento. Cioè di qualcosa che ci accade, ci pervade, inaspettato, di cui non conosciamo il perché (pensate al caso di quando non si riesce a smettere di ridere, ma anche l’impossibilità di ridere veramente, e non solo teatralmente, a comando).

Insomma, se proviamo a dire cosa ci fa ridere facciamo fatica, per lo stesso motivo per cui un film comico rivisto non ci fa ridere come la prima volta, oppure una situazione vista mille volte, oggi ci fa ridere a differenza delle volte precedenti. Così come non sappiamo perché ci innamoriamo di una persona, non sappiamo perché ridiamo.


Certo, esistono dei meccanismi come i paradossi, la ripetitività, il riso altrui, che creano le condizioni perché si rida. Ma resta il fatto che ridere è sostanzialmente un invasamento che non controlliamo. Anche per questo nella cultura greca era collegato a Dioniso, il dio dell’ebbrezza, il dio fanciullo e dell'esplosione violenta.


Da piccoli impariamo a controllare gli sfinteri, chi più chi meno gli istinti e le pulsioni, ma il riso no (e per altri versi anche il pianto, a proposito: non si piange dal ridere?). Salvo rarissimi casi tutti noi ci possiamo trovare all’improvviso a scoppiare a ridere, e quando le risa finiscono e proviamo a ripensarci non ci viene più da ridere.


E allora come esercizio filosofico provate a scrivere tre cose che vi ricordate vi hanno fatto particolarmente ridere. E provate a scrivere il perché vi facevano ridere. Sarà una missione molto difficile.


Bene, la trilogia dedicata a una sorta di fenomenologia di alcuni sensi è terminata, la prossima volta passiamo alla Q, la prossima settimana si parlerà di tempo e spazio.


Il video di Giornosofia 9, più o meno le stesse cose dette alla videocamera


Il podcast di Giornosofia 9 - R come Riso lo trovate qui assieme agli altri




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