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  • Immagine del redattoreAndrea Dallapina

Giornosofia 7 - T come Tocco

Il tatto è il senso che ci dà maggiormente la percezione del nostro essere limitati a un corpo, a un’entità vivente con determinati confini spaziali: lo sguardo arriva sino all'orizzonte, l’udito può sentire anche il tuono oltre l’orizzonte, il tatto, invece, può percepire solo ciò che confina con il nostro corpo.

E allora nell’abbecedario di Giornosofia alla U di Umanità segue la T di Tocco.


Il nostro essere umani inizia con il tatto, è il senso che il neonato sviluppa per primo; è infatti nel toccare che scopre i genitori e le altre figure familiari, e inizia a costituirsi come altro, non più simbiosi con, non più tutt’uno con.

Vale la pena osservare che il tatto ci restituisce sempre una conoscenza parziale di quello che poi definiremo l’oggetto: con la vista posso vedere la tazza che ho davanti nel suo insieme, percepirne subito i limiti, con il tatto devo toccarla più volte.


Vi è però soprattutto da osservare che non solo si tocca, ma si viene anche toccati. Quando diciamo reazione epidermica, più o meno consapevolmente parliamo di questo: il tatto è primario, ci pare che avverta il piacere o il fastidio in modo rapido, quasi istantaneo, senza una mediazione cosciente.

Solitamente abbiamo piacere nell’essere toccati da chi desideriamo, ma proviamo un profondo fastidio o disagio se lo fa qualcun altro, o comunque lo percepiamo più intrusivo nella nostra identità rispetto a qualcuno che ascolta i nostri discorsi o ci fissa. Nessuno si scusa in metro se ci guarda o ci ascolta, più facilmente lo fa se si appoggia. D’altronde il contatto, la prossimità possono essere come purtroppo ci viene ricordato di questi tempi veicolo di contagio, fonte d’infezione, e al contempo è quello che manca all'infetto ricoverato in ospedale, l'assenza di una mano amica o familiare a stringere la sua, ad accarezzargli il volto.


Da un lato siamo dunque abbraccianti. Anche senza scomodare Jaspers, è infatti nell’abbraccio, metaforico e non, che facciamo conoscenza dell’Altro e del Mondo, e nel contempo temiamo che proprio l’abbraccio possa denudarci, privarci della nostra intimità.

In tutti noi c’è forse una parte di Zanon, la protagonista di Lo Sconosciuto (il film di Tod Browning, 1927), che ha la fobia delle mani e accetta perciò solo l’amicizia con Alonzo, poiché quest'ultimo appare senza braccia (per inciso, il film è un capolavoro, ma non è questa l’occasione di parlarne).

La fobia, che poi Zanon riesce a superare, è l’esasperazione di quel timore dell’incontro con l’altro, dell’abbracciante che ci vuole prendere le misure, inglobare, fare suo, e quindi il nostro timore di lasciarsi andare. In inglese, per esempio, il termine embrace (abbraccio) indica anche l’amplesso.

D’altronde come canta il Cirano di Guccini, "al fin della licenza io non perdono e tocco", perché nella scherma il tocco è l’andare a segno, è l’incontro con il corpo altrui, che viene sconfitto quando è invaso dal nostro tocco (il tocco quindi come sciabolata, atto violento, intrusivo, inaspettato in quel punto, non solo in termini di cappa e spada).


Ecco quindi questa ambivalenza nell’essere toccati: il tocco che offende e il tocco che eccita. Sin dal nostro confine fisico, dalla nostra pelle, viviamo questo duplice atteggiamento verso il Mondo: piacere e nutrizione e al contempo trauma e violenza. Sole che riscalda e vento che gela. Non si tratta di cercare di eliminare uno dei due termini, si tratta di comprenderli, nel senso di prenderli assieme, o per dirla in termini spiccioli di farci caso quando ciò avviene (in senso fisico e in senso figurato, sentirsi toccati dentro, ecc.)


E allora ecco l’esercizio filosofico di oggi. Chiudete gli occhi e, dopo esservele ben lavate, iniziate a esplorare il vostro volto con le dita delle vostre mani. Al vostro cervello quali percezioni sono più evidenti? Probabilmente quelle che arrivano dall’essere toccati, poiché i polpastrelli sono abituati a toccare, magari sono ispessiti dal digitare, sono meno sensibili, ma soprattutto sulla pelle percepiamo che qualcosa di esterno ci è vicino, ci esplora, ci abbraccia, vuole incontrarci. Inquietudine ed eccitazione. Dove penderà la bilancia dipenderà probabilmente dalla nostra fantasia, dal nostro immaginarci il desiderio sottostante a quell’incontro con l’essere toccati.


Bene. E con lo sguardo accade lo stesso? Guardare ed essere guardati sono come toccare ed essere toccati? Ne parleremo la prossima volta.

Il video di Giornosofia 7, più o meno le stesse cose dette alla videocamera


Il podcast di Giornosofia 7 - T come Tocco lo trovate qui assieme agli altri


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