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  • Immagine del redattoreAndrea Dallapina

Se la vita fosse una partita

Sabato e domenica all’insegna di cieli sereni e temperature massime oltre i 30 gradi. Così le previsioni sull’Alto Piemonte.


Il barometro del giovedì rileva come la vittoria azzurra ai rigori sulla Spagna sia stata trasformata per l’ennesima volta dal chiacchiericcio mediatico in metafora di vita, con tutto l’armamentario della sofferenza, del giocar bene ma perdere alla “lotteria dei rigori” (Spagna), del lasciar sfogare e colpire in contropiede (Italia) e altra retorica sportiva assortita.


Al barometro non interessa analizzare se simili analogie siano più o meno azzeccate, si pone invece un interrogativo. Perché, non solo il calcio, ma lo sport in generale sono spesso gli esempi ai quali si ricorre per esemplificare come affrontare il destino?


Il perché è semplice. Lo sport si basa sul raggiungimento di obiettivi (vittorie, record, ecc.) che sono quantificabili (tempi, punti, ecc.), la vita invece, sappiamo per esperienza che non lo è. Ci sarebbe più facile affrontarla se fosse come lo sport. Se il traguardo fosse ben segnalato da uno striscione, il tempo di gioco ben indicato sul tabellone.


Invece, nella vita i traguardi sono sfuggenti, cangianti, dipendono da noi ma anche no, e il tempo della nostra impresa terrena ci è sconosciuta. Forse sarebbe consolatorio se la vita fosse una partita, sarebbe automatico trarne le conclusioni, sapere se stiamo vincendo o perdendo. Invece, rassegniamoci, l’esistenza è un torneo con le regole sempre da riscrivere.





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