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  • Immagine del redattoreAndrea Dallapina

Ripartire dal basso

Il fine settimana dovrebbe vedere giornate con tempo mite e soleggiato nell'alto Piemonte e nella zona insubrica. E se a essere famose sono le "ottobrate" romane, anche certe giornate d’ottobre alle latitudini alpine e prealpine sono memorabili per mettersi in cammino lungo i sentieri delle valli più preziose. I colori dell’autunno che avanzano sulle chiome dei boschi, l’aria frizzante e il cielo terso. L’occasione è perciò propizia al “barometro del giovedì” per parlare di sviluppo montano. Termine da relazione burocratico-politica, che tradotto vuol dire: come si può continuare a campare vivendo in montagna senza il posto fisso nell’industria di fondovalle? Come si fa a gestire un vasto territorio che rischia di franare o di essere lasciato all’incuria? Investire nel turismo? In quale tipo?


Nelle valli ossolane il dibattito è da tempo incentrato, per esempio, sul progetto “Avvicinare le montagne”, tra val Divedro e valle Antigorio. Una società privata vuole investire decine e decine di milioni di euro nell’ampliamento dell’offerta di impianti sciistici da San Domenico verso Devero, un fronte a guida ambientalista contesta l’ipotesi con una petizione che raccoglie decine di migliaia di firme. Tra i residenti nei centri interessati dal progetto pare prevalere un sentimento del tipo: meglio che li spendano qui che altrove, qualche cosa resterà attaccato.

Ora, al di là dell’aspetto tecnico (alla domanda se il progetto è compatibile con le attuali leggi o normative risponderanno gli organi preposti, tra valutazioni ambientali, ricorsi e controricorsi), quello che dovrebbe vedere appassionare il dibattito pubblico è il confronto sugli effetti economico/occupazionali di un modello di sviluppo rispetto all'altro.

L’investimento previsto riuscirebbe effettivamente a rendere San Domenico competitivo con altri storici e blasonati comprensori sciistici delle Alpi o alla lunga si tratta di un progetto non sostenibile stante lo scenario dei concorrenti?

E d’altro canto, l’alternativa di un modello di turismo alpino slow quali ricadute economiche reali potrebbe avere, al di là del beneficio per gli attuali operatori?

Visto che a queste domande si risponde solitamente portando da una parte e dall’altra stime, studi, ipotesi, perizie, auspici, esperienze, che risultano sovente diametralmente opposti e che avrebbero bisogno di qualche settimana di convegni per essere sviscerati, perché non iniziare a lavorare su ciò di cui in ogni caso avrebbe bisogno il territorio per un turismo integrato?

Di cosa si tratta? Dello sviluppo di servizi lungo gli assi che da Domodossola risalgono le valli sino alle mete alpine. A ricordarmelo è stato nei giorni scorsi un rifugista della zona. I turisti, che siano attratti dalle seggiovie o dai boschi di larici, non potranno comunque tutti essere alloggiati in quota (già oggi in certi periodi dell’anno Devero è da tutto esaurito nei posti letto). Da qui la necessità di rendere attrattivi gli altri centri da Domodossola a Crevola, da Crodo a Baceno, sino a Croveo e Goglio, e sull’altro versante Varzo e Trasquera. Occorre poter garantire dei servizi navetta per le mete in quota, riscoprire i piccoli borghi, incentivare l’uso dell’ebike per gli spostamenti, proporre esperienze al di là delle gite (per esempio sono molte apprezzate quelle dove si impara a fare qualcosa di tipico, oppure quelle enogastronomiche).


Negli ultimi anni qualcosa si è mosso in questa direzione, spesso in ordine sparso. Solo costruendo una simile filiera turistica (da promuovere e comunicare adeguatamente) è immaginabile che la ricaduta economica portata da ciò che attrae in quota (skilift od escursioni che siano) sia diffusa nel tessuto socio-economico di tutta la valle. C’è da mettersi a studiare (cosa è compatibile e cosa no, cosa ha mercato e cosa no), a investire, a provare, a sperimentare. Oppure si può continuare a dividersi tra tifosi delle due fazioni da un lato e mangiatori di pop corn dall'altro. Aspettando la neve.


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