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  • Immagine del redattoreAndrea Dallapina

L'amico ritrovato

Fine settimana di bel tempo e temperatura massime oltre i 30 gradi nell’Alto Piemonte.


Il barometro del giovedì torna invece indietro di qualche settimana, quando lo scrittore Alessandro Baricco scrisse sul Post che un anno di pandemia è stato come viverne cinque. Si sarebbero cioè accelerati dei processi socio-tecnologici, economici e politici ai quali saremmo probabilmente approdati in modo compiuto nel 2025 (dallo smartworking alle videocall, da Draghi al delivery).


Alcune cose, specifica Baricco, sono però rimaste indietro, non sono diventate “smart”, lui cita, ironicamente ad esempio, i divanetti del cinema. Il risultato sarebbe come vivere in uno di quei film fantascientifici nei quali c’è il teletrasporto ma ci si veste con le uniformi da ussaro (quest’ultimo esempio è mio).


La tesi è suggestiva ma personalmente la percezione della fine della pandemia (così si spera) mi dà più l’impressione della fine di un tempo sospeso, di un tempo avviluppato su stesso. Il ritorno alla normalità comporta il riappropriarsi di un ordine cronologico lineare, del tempo che passa, del sentire l’orologio che fa tic-tac e che perciò occorre produrre, avanzare, trovare nuovi stimoli e nuove mode.


La pandemia e le misure per contrastarla ci avevano offerto invece un tempo denso, vicini, forse troppo, a noi stessi. È stato così che alcuni hanno scoperto che noi stessi siamo le persone che non vorremmo avere come compagni di strada e ora bramano di allontanarsi da se stessi e confondersi tra la folla. Chi invece ha scoperto di star bene con se stesso non vorrebbe perdere, tra la folla, l’amico ritrovato.





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