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  • Immagine del redattoreAndrea Dallapina

Il dito e la luna

Previsto un sabato soleggiato con massime di venti gradi sulle rive dei laghi insubrici e le valli ossolane. Mentre domenica vi sarà un aumento della nuvolosità. Il barometro politico della settimana marca invece il dibattito sul voto ai sedicenni. E così tutti a guardare il dito (elettorato attivo) al posto della luna (elettorato passivo, cioè l'essere eleggibili o candidabili).


In Italia si può essere eletti a 25 anni alla Camera, a 40 al Senato (lo stabilisce la Costituzione), a 18 anni negli enti locali. Può essere il dato anagrafico, oltre a quello giudiziario (condanne varie), il solo elemento per valutare l’eleggibiltà di una persona. Perché un trentenne non può essere un senatore migliore di un 45enne o di un ottantenne?


Il problema non è chi vota: in una democrazia parlamentare il mio voto influisce per meno di un milionesimo sul risultato. La questione, semmai, è la selezione della classe dirigente, chi ci rappresenta, chi ci governa, chi viene eletto.


Peccato però che non esista un efficace sistema di selezione. Dalle primarie alle analisi dei curriculum, passando per i comitati centrali, la Storia insegna che in nessun modo si può essere sicuri di filtrare l’incompetenza o la malafede.


E allora, almeno, uniformiamo l’età per essere eletti, magari portandola per ogni istituzione a diciott’anni. Tra un sedicenne che vota e un diciottenne che entra in Senato, è molto più rivoluzionaria la seconda opzione. Per questo i politici parlano della prima.

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