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  • Immagine del redattoreAndrea Dallapina

Cappa secca

Piogge previste tra sabato e domenica nell'Alto Piemonte. Il barometro del giovedì torna invece indietro nel tempo, a 30 anni fa. Domenica mi sono rivisto "Mediterraneo", un piccolo omaggio al trentennale dell’uscita nelle sale del film.


A rivederlo ora fai fatica a capire l’Oscar ch’egli fu assegnato. La fotografia non è eccelsa, la recitazione di Abatantuono e soci sopra le righe, non è realismo e non è surrealismo, e non c’è nemmeno la satira graffiante della storica commedia all’italiana.


Però. Però capisci subito che ha il passo del classico. Perché riesce a comunicare il suo messaggio a chi lo vide allora e a chi lo guarda oggi. Un messaggio chiaro, stabilito sin dall’inizio, quando appare la citazione di Henri Laborit: “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”.


Ho letto un articolo sul Post che riprendeva un’intervista del regista, Gabriele Salvatores, fatta a IoDonna: “Laborit dice che quando la tempesta è forte, se sei in barca, l’unica cosa che puoi fare è ammainare tutte le vele e chiuderti sottocoperta. Si chiama “cappa secca”, è una condizione per cui non governi più la barca, non vai più dove volevi andare, perdi il controllo, però ti salvi la vita e può anche capitarti di percorrere rotte non battute e di approdare a luoghi sconosciuti e interessanti. Volevo sostenere la bellezza di lasciarsi aperti a vie di fuga, non di fuggire le responsabilità”.


Beh, ormai, di fronte al panorama socio-politico italiano, la tentazione di chiudersi sottocoperta e vedere dove ci porta la tempesta, è sempre più forte.

Un anno dopo Mediterraneo, scoppiò Tangentopoli, la bufera si scatenò. Nei successivi 30 anni, da sinistra a destra, si è poi parlato di "gioiosa macchina da guerra", di "rivoluzione liberale", di "secessione", di "vaffaday" e di "rottamazione". Tutti gli impeti politici sono però naufragati, forse era meglio la “cappa secca”.


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