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  • Immagine del redattoreAndrea Dallapina

Giornosofia 14 - M come Morte

Dopo la N come Nascita arriviamo alla M come Morte. Sarebbe anche naturale come successione, se non fosse che il nostro è un abbecedario a ritroso. Lasciamo però questi giochi sull’andare avanti e indietro e sul senso che si può scoprire cambiando direzione di marcia, e concentriamoci invece sulla lettera e sulla parola di oggi.

La morte è un’esperienza che nessuno di noi ha avuto direttamente (se siamo vivi e comunichiamo è perché per quanto possiamo esserci andati vicini non siamo deceduti), eppure abbiamo notizie di morte quotidianamente. Possono essere morti statistiche (i dati riportati dai media sul covid-19 o sui morti per malaria nel mondo), oppure la notizia della morte di persone celebri, la morte di persone care, la morte di una persona che non conosciamo e di cui sentiamo parlare al bar, i nomi sugli annunci funebri.

Possiamo avere un coinvolgimento emotivo più o meno elevato, possiamo provare apprensione, dover elaborare un lutto. In alcuni casi anche gioia o sollievo, per esempio nel caso della morte di un aguzzino.

Sappiamo dunque che si muore e da ciò ricaviamo l’idea della nostra mortalità: toccherà anche a noi. Da Heidegger agli esistenzialisti, il Novecento ha anche cercato di trasformare in occasione di riscatto la nostra mortalità. È possibile modificare in scelta una condanna? D’altronde anche in alcune scuole ellenistiche il tema della morte e del destino veniva trattato come capacità di accettazione, di consapevolezza (il tema è antico e prosegue lungo tutta la filosofia occidentale, legandosi ovviamente alla religione).

Chi non frequenta queste prassi filosofiche o religiose (e spesso anche chi le frequenta) di fronte alla morte ha invece solitamente due atteggiamenti:

1) non ci pensa e tocca ferro (da qui l’atteggiamento edonistico del godiamocela e non pensiamoci, ridi e non parliamo di morte che ci intristiamo);

2) confida in qualche elisir (da qui tutta la cultura della pillola e del farmaco, che nasconde il grande sogno di potersi abbeverare alla fontana dell’eterna giovinezza, perché non si desidera solo non morire ma anche continuare a poter fare le cose che facciamo o facevamo da giovani). Per tornare al paragone con la fantascienza, affrontato in N come Nascita, alcuni vorrebbero poter avere a disposizione dei corpi replicanti nei quali eternarsi, nei quali trasmigrare quando il proprio corpo cede, “scade” (la serie tv Altered Carbon dal romanzo cyberpunk Bay City parla per esempio di questo).

Confrontarsi con l’idea della propria morte (e non darla solo per scontata, non pensarci, tenerla in un cassetto) è alquanto difficile e non è detto che ci porti a vivere meglio. Sapendo che dovrò morire comunque, potrei per esempio diventare un martire, un fanatico, oppure potrebbe portarmi a ripetere che tutto è vanità e cadere nell’apatia, nel cinismo o nel disinteresse.

Occupiamoci allora della morte degli altri e per gli altri. C’è chi sostiene che la religione sia nata dal culto dei morti, una delle pratiche più antiche dell’umanità. C’è chi teorizza che questo culto sia nato a causa della nostra attività onirica. Il ragionamento è questo: lui è morto, è stato sbranato dalla tigre dai denti a sciabola, eppure stanotte l’ho visto, gli ho parlato, com’è possibile? Vuol dire che si può continuare a vivere in forma diversa dopo la morte? Beh, allora prendiamoci cura dei morti, omaggiamoli, preghiamoli, perché non sappiamo cosa ci aspetta. Da qui la religione, il mistero della morte, esiste un aldilà, un’anima e così via. Forse tutto è nato perché noi sogniamo chi non c’è più (sin dai tempi nei quali non poteva nemmeno darci i numeri del Lotto).

Veniamo all’esercizio filosofico di oggi: è legato al lutto, all’elaborazione del proprio lutto, alla perdita di sé stessi, ma anche alla grande capacità umana di immaginare, creare, fantasticare, anche sulla propria morte e su cosa possa rappresentare per gli altri.

A luglio saranno 40 anni dalla morte di Peter Sellers. È un attore che mi ha sempre catturato, affascinato, il comico che non è solo comico, ecc. Ebbene, si narra che al suo funerale fu suonata In the mood di Glenn Miller (l’avrete sentita molte volte anche voi https://www.youtube.com/watch?v=_CI-0E_jses).

Era una canzone che Sellers detestava, ed era risaputo, è peraltro senz'altro inappropriata per un funerale, ma l'attore aveva lasciato scritto che voleva che al suo funerale venisse suonata proprio quella canzone.


Ora, concentratevi sulla canzone che non vorreste venisse suonata al vostro funerale. E poi scrivete su un foglio: Voglio che al mio funerale sia suonata questa canzone… (al posto dei puntini mettete il titolo della famigerata canzone). Poi firmate e chiudete tutto in una busta. Io, vi confesso, sono indeciso tra lo scrivere Non voglio mica la luna e Obladì obladà.


Prendetelo come un gesto scaramantico, ma anche come un esercizio che svela come, di fronte alla morte, all’inafferrabile e all'indicibile, si può rispondere non con la ricerca di senso, come se la morte fosse il punto d’arrivo di un percorso predestinato, il momento nel quale tutto viene chiarito (esercizio destinato nella Storia al fallimento), bensì con l’opposto del senso: l’inappropriato, l’ironico, il fantastico.


Se qualcosa resterà di noi nella memoria dei nostri cari o in quella collettiva sarà per come saremo vissuti non per la cerimonia funebre. Ma se suoneranno In the mood, ricorderanno anche il funerale, perché è una cosa senza senso. La morte è anche l’accettazione che non esiste assicurazione sul fatto che la vita abbia un senso o uno scopo.

Quindi, questo benedetto scopo, scegliamolo pure, cambiamolo, modifichiamolo, ma senza pensare che esista la risposta esatta. Anche la canzone sbagliata può infatti rivelarsi perfetta.


Vi aspetto alla L.

Il video di Giornosofia 14, più o meno le stesse cose dette alla videocamera.


Il podcast di Giornosofia 14 - M come Morte lo trovate qui assieme agli altri.

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